Antropologia, rivista semestrale – n.13 / Arte

L’arte, oggi come in passato, in occidente come altrove, non è l’opera esclusiva dell’artista ma una costruzione sociale e culturale: è uno dei modi attraverso cui si dà alla realtà una forma riconoscibile, si esercita il potere, si manifesta il dissenso, si costruiscono memorie condivise o discrepanti e s’immaginano altri mondi possibili.
Il paradosso costitutivo dell’antropologia dell’arte è stato quello di voler studiare l’arte laddove non c’era, dove cioè erano assenti le categorie e le istituzioni in rapporto alle quali diviene possibile parlare di determinate forme espressive e della cultura materiale come “arte”. Proprio abitando questo paradosso, l’antropologia ha mostrato i limiti delle trasposizioni analogiche con cui cerchiamo di assimilare la diversità, ha fatto emergere le differenze e ha contribuito al ripensamento del modo in cui in occidente intendiamo l’arte.
Oggi e da tempo l’antropologia dell’arte non consiste più nello studio delle arti primitive o tribali, ha oltrepassato le divisioni che contrapponevano il noi agli altri e ha fatto del suo campo d’indagine il mondo intero, guardando all’insieme delle pratiche estetiche e artistiche della contemporaneità, dentro e fuori il sistema dell’arte.
I saggi raccolti in questo numero di Antropologia costituiscono un valido esempio di come lo studio della dimensione estetica costituisca un ambito di rilevanza fondamentale nella costruzione di un’antropologia della contemporaneità. Oggetto di riflessione sono le forme della resistenza postcoloniale e le pratiche di appropriazione culturale messe in atto dagli artisti contemporanei (Arnd Schneider); la costruzione sociale della memoria per immagini in situazioni di sofferenza che ostacolano il ricordo (Carlo Severi); i rapporti fra pratiche di attivismo artistico,arte partecipativa e processi di estetizzazione della vita nelle società contemporanee (Ivan Bargna); le relazioni fra la biografia degli artisti contemporanei del sud del mondo e i percorsi intrapresi dalle loro opere in contesti di forte violenza sociale (Dominique Malaquais); l’etnocentrismo cha abita gli schemi teorici con cui cerchiamo di farci un’idea delle dinamiche attraverso cui si costituisce l’oggetto artistico (Maria Luisa Ciminelli).